Non sono d’accordo con Chuck Palahniuk quando scrive che non c’è nulla da temere. La donna politicamente evoluta, pienamente consapevole, illuminata e sicura di sé desidera una cosa sopra ogni altra: una seduta dalla manicure.
Comprendo la malcelata ironia della frase, che peraltro chiude l’introduzione ad un racconto che credo conosciamo tutti perché ne hanno tratto il film “La donna perfetta”, con quella faccia di plastica di Nicole Kidman a recitare prima la brava casalinga, e successivamente l’inespressiva ribelle di provincia.
Capisco anche la brama nell’affermare sempre qualcosa di diverso, di originale, che provano un po’ tutti gli scrittori (anche se poi quando non se ne intendono, della materia, causano un ridicolo effetto). Posso intuire che Ira Levin, l’autore di questo romanzo anni Settanta, non sia a sua volta una donna, e dunque con una spiccata sensibilità al tema della “casalinghitudine, dipendenze, indipendenze".
Dunque, però, seppur rispettando il sano diritto ad una manicure – e a fine estate, anche una lussureggiante pedicure – e all'opinione d'altrui genio non posso pensare che l’autore di Fight Club sia davvero convinto che dopo aver acquisito l’indipendenza economica, ancora siamo tutte rivolte a quella cosa lì. A dimostrare cioè che siamo belle. Soltanto belle. Con le unghie curate. Per graffiare meglio i maschietti. O magari le nostre amichette. Suvvia che non ci crede nessuno!