Ieri mattina, all’ora di pranzo, proiezione all’Anteo del film Gomorra di Garrone – oggi in copertina del Magazine del Corriere c’è Roberto Saviano che, come dice la mitica Annalena Benini de Il Foglio, è ormai l’icona di se stesso (suo malgrado, certo)-.
Oddio, esco dal cinema e penso: si può dire che non mi è piaciuto? Ci ho rimuginato tutto il pomeriggio, e non trovo altre parole per esprimere una semplice constatazione personale, che vale quel che vale, certo, ma che è il libero pensiero di un’appassionata spettatrice di cinema.
Gomorra non assomiglia ad un film. Gomorra è, più che altro, un grande reportage all’interno della Secondigliano e della Napoli di Saviano. Poco intermediata dalla cinematografia (così come non lo è stata dalla letteratura, così documentata, e giornalistica anche, nel libro) la pellicola appare in tutta la sua violenta crudezza. Ovviamente, scelta stilistica del grande Garrone questa verosimiglianza alla realtà. Che ti fa così male, sin da subito, e che ti immerge nei fatti di cronaca di tutti i giorni che non ti vengono – quasi – mai raccontati.
Se la vita è Gomorra, sarebbe l’Inferno. E visto che Gomorra esiste, ogni giorno, possiamo ben dire che l’Inferno è a due passi da noi tutti. Ciononostante, seppur comprendendo la brutalità agghiacciante delle sparatorie e dei brutti luoghi del film, a me Gomorra non è piaciuto. Credo sia troppo pesante.
Certo meglio così, in un film verità, piuttosto che un Tarantino che rende tutto fumetto, e quindi irreale. Però mi chiedo, da ieri pomeriggio a stamane: ce la farà Gomorra a farsi vedere da tutti coloro che dovrebbero? O sdegnosamente, rifiuta il pubblico che non è all’altezza di due ore – lente – da incubo?