Lo scorso lunedì, durante il festival cinematografico che seguo da anni (Sguardi Altrove, per i non addetti, è l'appuntamento milanese del cinema al femminile) ho assistito ad un film insieme ad una platea di non udenti. Invece di applausi, tante mani silenziose roteare nell'aria in senso circolare. Invece di chiacchiere e i brusii, tanti sguardi d'intesa tra il pubblico, gesti di amicizia, piccoli sorrisi, sguardi insomma… Uno spettacolo di per sé, al quale non avevo mai assistito, e che ho trovato poetico. Al quale si è aggiunto un altrettanto poetico film, dedicato ad un artista che ho avuto il piacere di conoscere, ed intervistare, tempo fa.
Sto parlando di Antonio Stagnoli, l’artista che disegna animali dal volto umano, e che ha avuto una vita incredibile. Classe 1922, fino all’età di 37 anni ha vissuto in collegio. Poi, ha iniziato a respirare, in mezzo alle persone, a “camminare per le città, a confrontarsi con il prossimo”, come lui stesso racconta. Oggi, quasi sordomuto, è il simbolo del suo paese natale, Bagolino, in provincia di Brescia. E anche simbolo italiano del mondo del silenzio che zitto non sta. E che parla, con le sue opere.
Ebbene, il titolo del film a lui dedicato è Sono rimasto senza parole. L'autrice e regista, Elisabetta Sgarbi, che da anni, con una biografia eccezionale dimostra quanto una donna possa essere direttore editoriale di una collana di prestigio, e poi regista, e poi scrittrice, e poi ideatrice e dea ex machina della rassegna culturale più importante di milano, ovvero la Milanesiana.
Ecco. "Sono rimasto senza parole" – un titolo che ha molto a che fare anche con il titolo di questo blog, e della mia ricerca, peraltro, sull'impossibilità di comunicare – è l'intervista che non sono mai riuscita a fare ad Antonio Stagnoli. Perché è un'intervista fatta da Pino Roveredo. Scrittore, e figlio di genitori sordomuti.
Dopo aver osservato di persona i lavori di Stagnoli, ed averlo conosciuto, mi ero chiesta quanto fosse difficile la vita di questo artista dalle guance rosee temprate dal vento. Il perché rappresentasse corpi e volti e anime in feroce stato di crisi. Come se il mondo stesse finendo lì, in quel momento in cui ritrae cani, galline, mucche, bagnanti, donne e uomini, uccelli, tacchini.
Dopo aver visto il documentario di Elisabetta ho avuto le mie risposte. Qualcosa di intimo, personale: quelle parole che ti rimangono dentro dopo aver vissuto un'esperienza culturale, e che non ti va di esprimere. Se non consigliando a chi ti è vicino, di rivivere la stessa esperienza. Intensa. Forte. Indescrivibile.