Ha 31 anni, è africana, è già un simbolo per tutte noi. E non è una cantante.

Sembra impossibile ma la rivale africana di multinazionali del footwear come Nike, Adidas e Reebok è opera di una ragazzina di trentun anni. Che giusto due mesi fa, con le sue suole ribelli colorate e glocal è stata insignita come miglior imprenditrice al Global Entrapreneurship Week.

Già, proprio così. Nel 2006 Bethlehem Tilahun Alemu, una pulzella dal sorriso abbagliante di un piccolo paese vicino Addis Abeba, capitale dell’Etiopia, ha fondato la SoleRebels. Lo ha fatto appena dopo la laurea chiedendo un piccolo prestito ai genitori: coltivava un futuro da imprenditrice e sapeva la famiglia l’avrebbe sostenuta. “Ma ad una condizione” – spiega oggi Bethlehem – papà avrebbe detto sì soltanto se non si fosse mossa di un chilometro da casa. Si raccomandò proprio: ragazzina, per andare lontano non è necessario correre mi disse. Semplicemente l’ho ascoltato”.

“La nostra sede è a Zenabwok: lì non c’è nulla ma io ci sono nata. In questa regione lavorano le mani più sapienti dell’africa centrale – continua Bethlehem – Mani che una volta tessevano e che la crisi globale aveva portato alla disoccupazioni. Persone che sapevano come trattare le nostre materia prime la canapa per esempio, la fibra di juta, il cotone, e che in seguito si sono re-inventate anche nel riciclo di materiale di scarto come i pneumatici delle gomme. Che sono diventate suole fantastiche”.

La ribellione. La strada. La corsa. Il liet motiv di Bethlehem, nonostante risponda personalmente alle sue email appena 5 minuti dopo avergliele inviate, non è esattamente da Sex&The City.

“E’ stato divertente iniziare – scrive sulla tastiera in perfetto inglese – innanzitutto la scelta del marchio SoleRebels, (la cui traduzione italiana è suole ribelli, ndr): volevo disegnare un percorso antitetico alle normali scarpe occidentali, creare una storia unica. Nello stesso tempo pensavo alla mia cultura e all’Etiopia: mi sarebbe piaciuto valorizzare i colori e le fantasie tradizionali regalando loro una leggerezza internazionale. Per questo ho coniato il termine fusionfashion: è un mix tra design, impatto ambientale zero, materia prima del nostro Paese e bravissimi artigiani”.

I primissimi prototipi, distribuiti con una rete di vendita locale, hanno suscitato interesse tanto che dopo solo un anno le scarpette colorate della SoleRebels sono state notate dalle istituzioni. E riconosciute come il prodotto a minor impatto ambientale della storia etiope.

Se chiedi oggi a Bethlehem quanto valga ciò che ha creato ti risponde fiera e precisa che nel 2016 prevede di fatturare intorno ai 10 milioni di Euro. Non male per una ragazzina che vende scarpe fatte a mano per una media di 50 dollari al paio.

Se le chiedi oggi se esista un segreto per realizzare un sogno come il suo, peraltro in così poco tempo, in un Paese senza grandi mezzi, con un capitale iniziale minimo, Bethlehem riprende a raccontare la storia da capo e i passi che l’hanno lentamente portata dove è, adesso. “Il primo segreto sono le persone: chi lavorano con te deve credere in te. Molto e sempre. Poi internet. Dopo la rete vendita locale, ho creato il sito dell’azienda per il commercio elettronico: è stato un boom. E poi l’identità del prodotto, moltiplicarla: le collezioni di sandali, le scarpe più accollate. E poi ancora, i prezzi pensati uno per uno, su ogni singola scarpa, e gli accordi commerciali con l’estero, la svolta è stata vetrina su Amazon”.

Hanno appena festeggiato il centesimo operaio assunto in fabbrica, in quel di Zenabwok. “Lei lo sa che paghiamo le persone 5 volte la media etiope?” chiede Bethlehem. E io mi domando: le multinazionali sue concorrenti possono vantare questo primato?

su Twitter la trovate qui @BethlehemAlemu