Oggi, dopo un qualche mese, riprendo a scrivere sul mio adorato blog. E' stata dura stare lontana dalla "scrittura digitale quotidiana". E' accaduto perché non riesco a fare troppe cose insieme, e perché ho intrapreso un'avventura complessa, che mi ha richiesto molto tempo ed energie. La creazione di un mensile che non c'era. Pubblico quindi oggi, qui di seguito, l'editoriale numero zero di Women.
Il giornale lo trovate in edicola.
Credo, sia una sperimentazione collettiva al femminile. Immagine ma anche Intelligenza. Aspetto vostri commenti e suggerimenti. Anche partecipazione. Il sito internet del magazine sta arrivando. Nel prossimo post, ad uno ad uno, ringrazierò tutti coloro che hanno partecipato a questa avventura, che è un po' un gesto artistico, anche. A partire dalla cover.
Buona lettura!
Diciamocelo. Siamo pronte. Per guidare la nostra vita. O l’azienda. O il partito, il club sportivo, l’associazione. O, ancora, gli affari di famiglia, che la famiglia ci ha sempre occultato. Oppure, semplicemente, siamo pronte a dire la nostra e avere un ruolo nel seppur povero panorama culturale del Paese. Siamo pronte a raccontarci in modo leggero e disilluso su Twitter, Facebook, o su un blog. Ma magari anche a compilare testi impegnati, a condurre progetti professionali, intellettualmente sofisticati.
Siamo intelligenti, volitive, ironiche, multitasking (come piace agli uomini definirci, anche se la parola, onestamente, non è un granché). Magari siamo anche belle. Siamo capaci di grandi sacrifici e l’intelligenza emotiva – secondo il Pulitzer Daniel Goleman che ha affrontato il tema in due libri – non è un nostro limite. Anzi, favorisce la creazione di valore e sostiene le grandi cause.
Insomma, siamo pronte a fare il salto (come canta Madonna, Are you ready to jump?) e tuttavia spesso ci ritroviamo a terra, guardandoci nelle palle degli occhi, e a domandarci cosa sia andato storto. La meritocrazia non ha funzionato. Il curriculum non era scritto bene? Cosa ho detto di sbagliato al colloquio? Perché certi posti sono appannaggio sempre e solo di altri?
Ferme alla rincorsa. Oppure stanchissime. Oppure, ammaccate dopo una brutta caduta. Perché non solo esiste il tetto di cristallo. Come mi ha insegnato una manager come Anna Puccio, c’è anche il glass cliff. Ovvero, l’essere selezionate solo per occupare posizioni apicali a rischio. Il retropensiero – banalmente, più che la strategia di coloro che scelgono donne per posizioni a rischio – è questo: la missione dell’azienda o del ruolo professionale potrebbe essere un fallimento. Mettiamo alla prova una donna: se agirà bene aprirà le porte ad una gestione più stabile (maschile?). Se farà male, sarà stata pur sempre una donna alla quale è stata data un’occasione. Che potrà sempre tornare ai fornelli, o dal principe azzurro, una volta terminata l’avventura.
E tuttavia. Visto che nel 2011 al principe azzurro e ai fornelli non ci crede più nessuna, la domanda alla quale Women prova a rispondere è: ce la possiamo fare, unite, insieme? In questo senso, il mensile – coraggiosamente voluto da editori uomini – vuole sfidare il genere a dare il meglio di sé. E a prendere coscienza di un ruolo nella società futura. Un giornale che sia come una piattaforma creativa di tutte, in cui ciascuna si possa cimentare nell’arte e nei ragionamenti che più sente vicini, e contribuire alla costruzione di una prospettiva comune.
Con orgoglio, senza pregiudizio alcuno, soprattutto nei confronti delle altre (che non sono come noi). Per questo siamo andate alla ricerca, nel primo numero, di un’eccellenza che ci rappresenta, ma che mai è stata in copertina su altri mensili. Vanessa Beecroft, artista italiana riconosciuta in tutto il mondo, è una donna che ce l’ha fatta e che può insegnarci perché partire, o perché restare. Oppure farci capire come parlare con noi stesse, che in questo periodo storico è una sorta di missione. Altro che arte!
Seguo su Twitter centinaia di donne. Osservo, oltre a colleghe e giornaliste, una quantità di blogger, impegnate e non. Come tutte, leggo tra le righe di una nuova onda editoriale che non solo ha occupato strade e piazze ma ha dato vita quasi a un nuovo genere, in libreria: la saggistica al femminile.
Mentre Miss Italia registra il minimo storico di share, nonostante la sobrietà dell’edizione – o forse proprio a causa di – una quantità di donne ragiona intorno alla propria biografia in modo diverso.
Una diversità che in fondo viene da lontano. E me ne sono sempre domandata il perché. Poi forse ho capito.
Un giornale, come un format televisivo o un’installazione artistica, ha bisogno dell’immagine. E noi che con la manipolazione dell’immagine non siamo a nostro agio, spesso non riusciamo a far dialogare armonicamente ciò che sembriamo con ciò che ci “sentiamo”. E allora la facciamo gestire da qualcun altro. Non ce ne occupiamo. Spesso con risultati disastrosi.
Creare un mensile per noi significa anche affermare la nostra immagine autentica, diventare protagoniste di un mondo che, prima, dedicava le copertine solo a modelle e attrici. Performer del corpo.
E senza nulla togliere a chi appare per professione (anche Women lavora con le modelle, che peraltro da noi decidono loro stesse che cosa indossare nelle pagine Look), noi crediamo in altre prestazioni. Crediamo che sia attraverso un percorso professionale che si ottiene l’indipendenza intellettuale. E che l’indipendenza intellettuale sia come l’indipendenza economica. Finché non l’hai raggiunta, non hai respirato libertà.