Vorrei comandare. Ma posso?

Chi siamo, come ci guardiamo, e  quante siamo a costruire la nostra immagine? Domande alle quali tutte noi che lavoriamo nel mondo dei media, proviamo spesso a rispondere. Ci guardiamo l’un l’altra. Ci contiamo. Leggiamo delle posizioni apicali. Mettiamo un numerino. E sempre la risposta, a guardare i dati, è negativa. Emma Bonino sabato ha inaugurato una fredda mattinata milanese dedicata “lavori al femminile”. E spiegato quanto sia importante affrontare il tema dell’immagine femminile sui media, sui giornali, non solo il tivù, e non solo nelle pubblicità, con cui l’associazione Pari O Dispare da lei fondata (in qualità di presidente onoraria) si è cimentata, attraverso un manifesto.

Emma si chiede “com’è possibile capitare in prima pagina di un quotidiano quando ho una nuova giacca verde smeraldo, o quando dichiaro di avere un “fidanzato”? E’ una notizia, un fidanzamento della sessantenne?”. Forse in Italia, mi vien da pensare, sì. Come in Italia tante cose sono notizia, che non sarebbero all’estero. Ciononostante, insistiamo e ci incastriamo qui, legate mani  e piedi alla bellezza del nostro Paese. Ai nostri cari. Ai luoghi della nostra infanzia, sempre in attesa di un cambiamento che spesso è necessità nostra, più che altrui.

“Quando Monti è stato eletto mi chiesto – dice Emma Bonino – un parere sulla questione al femminile non siamo state in grado – noi donne – di valorizzare questa richiesta. Parlo per me, ma parlo per noi tutte”. Cristina Molinari, Presidente di Pari O Dispare, spiega la lettera scritta a Mario Monti in cui si chiedeva di mettere qualche ministro donna alla compagine di governo. E’ arrivata una risposta. Le minsitre sono tre. Però…

Parla poi Drancesca Zajcyc: aumenta il numero delle donne che vuole accedere alla professione giornalistica in Italia, sono il 50%. Continuano ad essere penalizzate nei ruoli di direttori o direttrici: i dati Inpgi indica il 3% tra direttori e vicedirettori in generale. Il gap salariale, poi, nel mondo dei media, è particolarmente sensibile. Nei periodici la situazione cambia ma le donne si occupano di donne quando si parla di femminili.

Danda Santini, direttrice di Elle, spiega anche il lato positivo della faccenda. Al Corriere della Sera un vicedirettore donna ha introdotto contenuti che prima non passavano. La direttrice del Tg Sky24 sta creando un videogiornale senza stereotipi. I tempi forse sono il problema, spiega Danda. Ma le lettrici ora sono “vive”. Arrivano in redazione delle mail di protesta per le pubblicità, e la pubblicità cambia format. Poter cambiare la pubblicità è una cosa importante. Le ragazze cambiano le cose sui social network. Anche la moda, paradossalmente, si adegua.

Conferma questa sorta di trend positivo anche Marina Cosi, giornalista tv con 40 anni alle spalle, che le cose migliorano. E che, rispetto a quando ha cominciato lei, sono ancora migliorate. Tanto che un tempo, in Rai, scrivere Ministra al posto di Ministro, era una cosa molto importante. E che il linguaggio che si introduce è una cosa importante. E la maggior parte delle donne è free lance, e guadagna in media 5000 Euro l’anno.

Donatella Martini, Presidente di Donne in Quota, racconto del lavoro fatto con la pubblicità, e con il servizio pubblico. Dice che “la stampa non si occupa delle donne”: il cambiamento è dovuto al lavoro delle donne sul territorio. Si sta creando un polo universitario trasversale in culture sulla differenze di genere, ma soprattutto il tema tabù è la gestione del potere tra le donne. Sembra che le donne il potere abbiamo paura a chiederlo. E abbiano paura – anche un po’ – a gestirlo.

Non saprei. Non sono del tutto concorde, anche perché subito dopo interviene Layla Pavone, a capo dello Iab, che è l’esempio contrario. Una donna di potere in mezzo ad una miriade di uomini. La guardo, la ascolto: parla come una donna di potere. Ha dei tratti femminili e dei tratti pragmaticamente professionali, quindi, forse un po’ maschili. Ma credo che, a Milano, nel 2011, per fare carriera, a Milano, si deve fare così. Oppur no?