La dedica sul libro è “lascia il cellulare, Cristina”. Perché Emma Dante, durante la presentazione della sua “Trilogia degli occhiali” (Rizzoli, 13 Euro) che fa il paio con lo spettacolo teatrale in programmazione al CRT di Milano, non fa che guardare con pena la giornalista che scrive gli appunti sul cellulare.
La guarda con pena, e dice di fronte a tutti, che durante gli spettacoli “il pubblico che è sconnesso con i teatranti che piangono, è disarmante. I ragazzini mentre si svolgono le scene più commuoventi, più forti, più importanti degli spettacoli, i ragazzini che stanno seduti nelle ultime file tirano fuori i cellulari, e cominciano a ticchettare sullo schermo. Mandano sms. Addirittura giocano con il cellulare – continua Emma Dante – forse con il cellulare mandano le mail, gli sms. Non so mai come prenderli perché non li puoi redarguire. Non hanno fatto male a nessuno, non disturbano, sono silenziosi. Però quanto si perdono….”.
Già, quanto si perdono. Quasi si perdono tanto quanto gli attori si perdono il mondo del virtuale, i nuovi ritmi dettati dal mondo delle professioni, si perdono la contemporaneità di poter scrivere una frase dello spettacolo su cellulare, magari, giusto per ricordarla, per condividerla con gli amici. Di scriversi una parola detta esattamente come stava facendo la giornalista in prima fila, la sottoscritta, che provava a prendere appunti sul cellulare, arrivata trafelata alla presentazione (le presentazioni dei libri sono un lusso, in effetti), avendo rosicchiato il tempo tra un impegno e l’altro, e provando a non sconvolgere la borsa, e quindi a scrivere su iPhone, come spesso accade, pensieri sparsi di un’autrice tanto famosa, quanto integerrima, a-tecnologica, assente dal presente milanese.
Sono andata alla presentazione di Emma Dante alla libreria Feltrinelli ed ho trovato miracolosamente posto. Quello che accade è che, in prima fila, a me accanto, un’altra signora – pare conoscere l’autrice – mi guarda molto storto perché continuo a digitare sul cellulare.
Digito che il i mafiosi sono fetenti, e quindi devono essere descritti, e riproposti all’interno dello spettacolo, come persone che puzzano. Scrivo che il Cristo che si rompe in scena pensato da Emma Dante per lo spettacolo della Carmen alla Scala esiste in un dialogo delle Carmelitane. “Là però nessuno ha detto nulla, perché è un classico”. Scrivo che “il letto è un luogo centrale della poetica di Emma Dante perché vi si svolge tutta la vita delle persone: nascita, amore, riposo, malattia, morte”. E scrivo che i carillon danno un ritmo alla trilogia presentata oggi sotto forma di libro. Il carillon si accende e si spegne, come la vita”. Infine, scrivo quanto Emma afferma: “il rischio dell’artista è quello di mettere in primo piano l’idea, che imprigiona lui e i suoi collaboratori. In certi casi troppe idee fanno male, che il teatro è il luogo della carne viva, innanzitutto. E delle ferite”.
Trascritto quanto di interessante dovrebbero trovare lettori e lettrici come me, nel libro di Emma Dante, le porgo il libro da autografare, dicendo: “Erano gli appunti. Stavo prendendo appunti con il cellulare. Niente di più”. Emma Dante tira un sospiro di sollievo, ma neppure troppo. A lei quelli (quelle) con il cellulare non piaceranno mai….