Chissà chi ricorda "Harry a pezzi". Per i fanatici di Woody Allen come me, una piccola pietra miliare. Anche perché ben descrive l’attitudine alla scrittura, e la nevrosi della professione dello scrittore…
Ordunque, in "Harry a pezzi" le vicende del protagonista sono intervallate dai racconti dei propri libri. In uno di questi un attore che sta girando un film, ad un tratto, "esce dal fuoco", inizia a "sfocarsi", perde i suoi caratteri distintivi, e i suoi contorni definiti, e viene circondato dalla nebbia della miopia di un occhio che non riesce a catturare i confini delle cose.
Una tragedia, insomma, non poter esser visti bene, per quello che si è. Una tragedia essere diversi, e quasi mostruosi, solo perché le persone non riescono a vedere "bene" i tuoi tratti. Una tragedia fare per professione l’attore, e non essere messo a fuoco da una telecamera.
La paura di scomparire – ad alcuni capita la paura di comparire troppo, ad altri di vedere i buchi nei maglioni, li chiamano autistici ma non è mica detto che lo siano – è una fantasia narcisistica degli autori in generale, credo, e forse è il terrore per antonomasia del narcisista. Di chi – cioè – mette se stesso molto molto prima di tutti gli altri. E che se poi è autore, mette tutto quello che gli rimane nell’arte, e non nella vita.
In "Harry a pezzi" l’autore (o il regista etc etc…) è grande nell’arte, nel cinema, nella scrittura, mentre nella vita sarà un disastro. A me questo fa paura, mica scomparire. Perché in effetti potrei confermare – conoscendo autori, scrittori, registi – la loro incapacità a relazionarsi alla pari con gli altri , e la loro necessità di stare "sopra le regole". Cosa che, sopratutto nei rapporti amorosi, fa uscire dai gangheri i rispettivi compagni.
Ma se dunque per fare l’autore o l’artista bisogna essere un po’ stronzi e narcisi e incapaci di vivere con gli altri alla pari, uno cheinvece volesse essere anche una brava persona e volesse fare il pittore, per esempio, oggi sarebbe credibile?