Il cielo

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Quante volte ho guardato al cielo
ma il mio destino è cieco e non lo sa…
che non c’è pietà, per chi non prega e si convincerà
che non è solo una macchia scura…il cielo…

Quante volte avrei preso il volo
ma le ali le ha bruciate già
la mia vanità e la presenza di chi è andato già
rubandomi la libertà…il cielo…

Quanti amori conquistano il cielo
perle d’oro nell’immensità
qualcuna cadrà, qualcuna invece il tempo vincerà
finché avrà abbastanza stelle…il cielo…

Quanta violenza sotto questo cielo
un altro figlio nasce, e non lo vuoi
gli spermatozoi, l’unica forza tutto ciò che hai…
ma che uomo sei se non hai…il cielo…

Renato Zero

  • Alessio |

    A volte non c’è bisogno di tante parole per esprimere quali siano le nostre più grandi e più profonde emozioni. Basterebbe uno sguardo, una smorfia per far capire che, magari, stiamo passando un momento un po’ difficile. Anche se nella maggior parte delle occasioni – purtroppo – non veniamo capiti come vorremmo ci succedesse… e ci rendiamo conto che avremmo dovuto profferire un buon numero di parole per venire compresi.

    Dovremo rimanere con i nostri crucci e dolori chiusi nella nostra gabbia personale. Ci arrovelliamo dentro senza intuire quale sia la scappatoia giusta per fuggire da certe angoscie, malinconie. E così sia!

    P.S. A chiunque arrivi questo inane messagio, comunque, chiedo di non farne uso in alcun modo.

    N.B. Mi dispiace un “casino”… ma devo conchiudere qui.

    Ciao a chiunque tu sia!

    Sono stato un deficiente a diffondere questi versi puerili. Pazienza!

  • Cristina |

    Dunque dunque

    Intanto un saluto a Claudia, che ha visto per la prima volta il mio blog…

    Poi, provo a rispondere ad Angelo Crespi. Una testa fina, che giustamente mi dà della “pop”…

    Il discorso è complesso, e tuttavia proverò a spiegare il mio punto di vista.

    Prima di tutto, la spiegazione del perché di Renato Zero. Casualità.

    Dovevo partire per Roma, volevo pubblicare una mia foto fatta con il cellulare, e allora ho cercato una canzone che si intitolasse “il cielo”. Mi è venuta in mente quella di Renato Zero. Non ho nessun suo disco, ma la mia cultura “pop” e anche un “pop pragmatica” mi ha portato a lui in modo diretto, senza pensarci. E’ vero, Zero non è un poeta, come non lo è Lorenzo Cherubini, ma sono parte dell’immaginario e dell’infarinatura “culturale” della nostra generazione, ed è impossibile non farci i conti.

    Hanno contaminato, e contaminano, molte più persone di quanto – e dico purtroppo – non facciano Mozart o Rilke. E queste persone “contaminate” dalla cultura pop e televisiv ce le vogliamo dimenticare? Le vogliamo lasciare nel loro brodo? Eppure ognuna di loro vale esattamente quanto noi… E allora io prediligo un mix tra cultura alta e cultura “pop” rispetto a una proposizione di un’unica strada. Perché ti permette di parlare a tutti, e non a poche elite…

    Quando parli a tutti, poi, ti puoi anche permettere di volare anche un po’ più alto, e quindi di proporre temi, poesie e canzoni di “livello” più elevato. Ma lo puoi fare per darlo come “spunto” di approfondimento, niente di più. Se viene colto, bene. Se non viene colto, ci sarà una prossima volta, un’altra occasione… Ce ne saranno sempre.

    E poi, non vorrei essere proprio io a fare una strenua difesa della “canzone italiana”, visto che i miei gusti sono fin troppo sofisticati, ma cantanti come Lorenzo e Zero sono dei personaggi che credo siano arrivati alla semplicità come punto di arrivo, e non come punto di partenza. Il format della canzone popolare è per forza “semplice” e diretto e cantilenoso. E’ intrinseco nel suo essere canzone. E allora, o ci dimentichiamo la canzone popolare (ma ci perdiamo un sacco di gente dietro), e ci dimentichiamo la maggior parte dei “giovani” (parola che Jovanotti odia), oppure ci facciamo i conti, come li facciamo con le poesie. A

    nche per la tv il discorso è lo stesso. Bisogna studiarla per capirne i meccanismi e il perché piace alla gente. Anche se sono sicura che non tutti quelli che la guardano poi si appiattiscono, è una realtà dei nostri tempi. Anche con lei dobbiamo fare i conti, e con il suo linguaggio “malsano” e banalizzante. Che certe volte si eleva di qualità, anche se sempre più raramente.

    Il bello del giornalismo, dei blog e della comunicazione – poi -è che deve “prendere tutti”. E a me piacerebbe parlare veramente con tutti, indistintamente.

    E’ triste dire che sono i Lorenzo Cherubini i nuovi “autori” del nostro secolo? Secondo me no. Il tema, semmai, è se dar loro un Nobel. Qui ti seguo perfettamente. Anche se Bob Dylan, insomma, per me è un gigante, quasi come Lennon. E a Lennon un Nobel non ci sarebbe stato male (in fin dei conti, è un grande poeta del Novecento).

    Viviamo in un’epoca strana. Io la tv non ce l’ho. Però sono curiosa di capire per quali motivi la gente si emoziona. Prometto, cercherò di alzare il tiro. Ma ogni tanto, una caduta kitch o “pop” è sana, e spero me la perdonerai…

    Per dire “il cielo”, e chiudo qui, fosse per me, avrei – credo – lasciato solo la foto.

  • angelo crespi |

    Cara Cristina

    sono stato spiacevolmente colpito da Renato Zero.

    E’ paccottiglia. Tutta la canzonetta pop contemporanea è paccottiglia nonostante la signora Nanda Pivano insista a voler dare un nobel a Dylan e i galloni di poeta a Jovanotti. (Certo, se poi penso al poeta Cucchi, allora meglio il cantautore De Andrè).

    Ma la poesia è altro.

    La lingua della canzonetta è costretta nel banale, spesso il banale del futuro, perché come tu forse sai servono versi tronchi per seguire la musichetta pop, i peggiori della lingua italiana, percui ci troviamo infarciti di me, te, perché, sa, da, do, e poi di amerà, partirà, vedrà, andrò, sarà, sarò.

    Un vero delirio per chi pensa, come me (e insieme a me, tra gli altri Rilke ed Eliot), che la poesia abbia la funzione di svelare l’Essere. E non di vendere cd.

    Come diceva Brodskij se la lingua è ciò che distingue l’uomo dall’animale, e la poesia è il vertice della lingua, non usandola ci abbassiamo al livello degli animali.

    Le canzonette soddisfano il nostro bisogno di modeste certezze, di politicamente corretto, ma non ci svelano nulla di noi e del mondo e dell’essere.

    Non solo, questo linguaggio basso e senza extraordinari ci svilisce ulteriormente, impedendoci di vivere le vere estasi, che possiamo realizzare (nel senso etimologico del taumazesin grego, cioè dello stupore ontologico), e pensare, proprio perché pensiamo attraverso il linguaggio, solo per mezzo delle parole. Ma non di quelle di Zero.

    Pensaci: dopo un’ora di televisione mi sembra intelligente perfino Pippo Baudo. E’ l’assuefazione. Poi apro Proust e non lo capisco, non riesco a reggere un pensiero che corra per più di due righe, non riesco a seguire una riflessione che continui per più di una pagina, e così il mio pensiero degenera, e con esso degenera la nostra società.

    Non più in grado di realizzare le sinfonie di Mozart, non più in grado di capirle, godiamo la nostra poca miseria ascoltando Jovanotti e Zero, che anche nel nome riflette il suo e il nostro nichilismo.

    Ora ti sfido: perché non un poeta per “dire” quel cielo?

  • Claudia |

    Complimenti per il blog, bellissimo e veramente criattivo 🙂

    Sono stata piacevolmente colpita dal brano di Renato Zero che adoro!

    A presto

    Clo

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