Una poesia di quasi cent’anni fa.
Sembra non solo premonitrice. Sembra scritta ieri.
L’infernaccio della città
Le finestre frantumarono l’infernaccio della città
in minuscoli infernucci succhianti con le luci
Rossicci diavoli, si impennavano le automobili,
facendo esplodere le trombe proprio sull’orecchio.
E là, sotto l’insegna con le aringhe di Kerk,
un vecchietto stravolto cercava tastoni i suoi occhiali
e ruppe in lacrime quando, nel tifone del vespro,
un tram di rincorsa sbatté le pupille.
Nei buchi dei grattaciali, ove ardeva il minerale
e il ferro dei treni ingombrava il passaggio,
un aeroplano lanciò un grido e cadde
là dove il sole ferito colava l’occhio.
E allora ormai – sgualcite le coltri dei lampioni –
la notte si diede al piacere, oscena e ubriaca,
mentre dietro i soli delle vie in qualche luogo zoppicava,
non necessaria a nessuno, la flaccida luna.
1913, Vladimir Majakovskij