Perché servono politiche climatiche a misura di bambino

Il pianeta Terra ospita circa 2 miliardi di bambini, persone con meno di 15 anni di età. Secondo il recentissimo rapporto dell’Unicef intitolato “The Children’s Climate Risk Index”, un miliardo di questi bambini vive in territori che già oggi rischiano di essere colpiti in modo estremo dalle conseguenze del cambiamento climatico. La direttrice generale dell’Unicef, la statunitense Henrietta Fore, da detto: «La COP26 deve essere la COP per i bambini. Il cambiamento climatico è una delle più grandi minacce che questa generazione deve affrontare, con 1 miliardo di bambini a rischio altissimo.

I leader mondiali al COP26 hanno l’opportunità di riorientare il terribile cammino che stiamo percorrendo: impegnandosi a rafforzare la resilienza dei servizi da cui dipendono i bambini, e tagliando le emissioni più velocemente e più a fondo». Questi bambini rischiano di subire le terribili conseguenze del riscaldamento globale e delle devastanti mutazioni climatiche che si stanno già manifestando anche perché vivono in luoghi nei quali non c’è abbastanza acqua, ci sono malattie endemiche importanti, si verificano già forti ondate di calore, cicloni e inondazioni, osservano al World Economic Forum. Le popolazioni che meno contribuiscono ai gas serra vivono nei territori che più pagano e pagheranno le conseguenze dell’emergenza climatica. Uno studio pubblicato su Pnas e ripreso ieri dal Financial Times mostra come 3 miliardi di persone vivano dove il pianeta diventerà inabitabile nel 2070. Quei 3 miliardi del 2070, in maggior parte, oggi sono bambini.

Insomma, la questione climatica è la questione dei bambini. E, dunque, la politica sul clima è essenzialmente per i bambini, non per Greta e per i suoi coetanei. E davanti ai bambini la rigida fermezza dei signori del pianeta, che si sono ritrovati al G20 di Roma e poi si sono recati a Glasgow per la Cop26, dovrebbe, se non incrinarsi, quanto meno “muoversi”. Perché la crescente importanza delle signore del pianeta non basta, come mostra lo scatto che ha immortalato la totalità maschile dei protagonisti del vertice di Roma davanti alla Fontana di Trevi. Non basta a fare la differenza di genere, figuriamoci la differenza per i piccoli. La presenza femminile non basta per proporre una Presidente della Repubblica donna, e non basta ad imporre un punto di vista favorevole ai bambini nelle decisioni che andranno prese nei prossimi dieci anni. In Italia si sta riscrivendo la questione pensioni, proponendo la data di “scadenza” di genere a 60 anni. Dovremmo esserne contente, se non che i sessant’anni suonano come i nuovi quarant’anni (e ricordano tanto le baby pensioni regalate agli insegnanti negli anni Ottanta del Novecento). La presenza femminile potrebbe aiutare a dire qualcosa circa lo sguardo completamente assente rispetto alle nuove generazioni che lavoreranno oltre i 70 anni visto che i sessantenni – nel 2018 – hanno superato per la prima volta i trentenni. Per fare questo cambio di prospettiva le donne però non bastano. Per offrire una prospettiva concreta, vera, e sentita, dovrebbero farsi carico dei bambini e dell’eredità che lasciamo loro anche gli uomini.

Una ricerca Ipsos per l’italiana Agenzia Nazionale per i Giovani realizzata durante il lock-down aveva colto l’umore di persone che si dichiaravano felici nel 79% dei casi, ma solo per il presente. Appena volgevano lo sguardo al futuro due terzi dichiarava di aspettarsi condizioni molto diverse da quelle che avrebbe desiderato, e un terzo di loro pensava che la crisi della covid-19 avrebbe aumentato le già enormi difficoltà professionali.

Nessun Paese può affrontare la crisi climatica da solo ha detto il presidente del Consiglio Mario Draghi, ascoltatissimo ospite del G20. E allora va anche detto che nessuna generazione può affrontare la crisi climatica da sola. Non si può affrontare senza innovazione, senza giustizia sociale, senza visione comune. E i giovani sono i più probabili generatori di innovazioni, oltre che i più sensibili assertori della giustizia sociale.

Anche i grandi della Terra – ne sono certa – provano qualcosa di simile alla tenerezza pensando ai bambini. Ma anche se sono totalmente concentrati sul lato razionale della loro attività cognitiva, se non vogliono cadere in contraddizione, non possono non vedere quanto le questioni che l’umanità deve risolvere per il futuro – per avere un futuro – corrispondano alle questioni che servono a proteggere i bambini.

Ma se il problema del clima è il problema dei bambini, il problema dei bambini non è soltanto il clima. I bambini soffrono fisicamente più degli altri per l’inquinamento, per la carenza di igiene e di acqua, per la scarsa qualità delle reti di relazioni sociali, per la scarsità di servizi sanitari di qualità, dice l’Unicef. Se i capi dei governi che si ritrovano alla Cop26 riusciranno ad affrontare e risolvere almeno un po’ delle questioni intricatissime che servono a uscire dall’emergenza climatica, dovrebbero pensare che le questioni specifiche dei giovani sono in fondo relativamente semplici: buona educazione, ripristino di una sana mobilità sociale, disponibilità di strumenti che li abilitino a innovare, mezzi di comunicazione più sani, rispetto per le loro persone e per le loro speranze. Non c’è una politica per il futuro che non sia una politica per i bambini e per i giovani.

Quando i leader del pianeta pensano alla loro capacità di visione, devono certamente volare alto e guardare lontano: ma alla qualità dei loro pensieri farebbe bene se ogni tanto si mettessero in ginocchio, per guardare il mondo dall’altezza degli occhi dei bambini.