Ma le donne no. Il female factor, secondo Caterina Soffici

Su indicazione di un'amica ho trovato le pagine che l'International Herald Tribune dedica a quello che simpaticamente viene definito "the female factor" (http://topics.nytimes.com/top/news/world/series/the_female_factor/index.html). Che cosa di evince, dopo una lettura delle pagine che una testate internazionale ha definito di dedicare a noi? Per una persona come me, innanzitutto che ci sono tantissimi dati, ormai. Forse troppi, quasi (sì lo so, non ditemi che non sono mai troppi, stavo scherzando :-).

Guardate questo grafico sulle donne che lavorano (http://www.nytimes.com/imagepages/2010/01/19/business/20100118_WOMEN_GRAPHIC.html). Ci lamentiamo dell'Italia, ma guardate la Germania. Siamo nella stessa identica situazione, in quanto a natalità, siamo al livello del Giappone (il grafico dopo non l'ho capito, sul full job e il part time, ma non promette niente di buono….).

Katrin Bennhold ha fatto un'inchiesta per immagini che fotografa la situazione delle madri lavoratrici in Germania. In poche immagini ha aperto un mondo. Lo stesso ha fatto, in modo molto più articolato e forse autoironico, in un libro, Caterina Soffici.

Il titolo lo conoscete tutte. Non nascondo che io ne ho una copia, con la dedica che porta la data di quasi due mesi fa. Perché non ne ho scritto? Forse perché di "Ma le donne no" ne hanno parlato tutti, e io ho il timore di non aggiungere nulla. Forse perché le pagine di questo libro, non tutte, ma tante, ho avuto il piacere di condividerle prima dell'uscita e dunque mi sento parte in causa, nel parlarne inevitabilmente in modo entusiastico.

Dunque, che cos'è "Ma le donne no", al di là di un'elencazione di date che ci spiegano come il delitto d'onore – ovvero "se uno uccide la sorella, la figlia o la moglie nello stato d'ira determinato dall'offesa recata all'onore suo e della famiglia" – sia stato abolito meno di 30 anni fa (sì, avete capito bene, era il 1981) mentre l'omicidio del marito prevedeva l'ergastolo?

Forse faccio prima a raccontarvi cosa non è.

Non è un libro lamentela. Non è un libro rancoroso, anzi non è affatto noioso, non è pedante. Inoltre, non è solo per "donne impegnate" né "solo" per femministe. Poi, non è di nicchia, non è difficile, non è lungo da leggere, non è serioso, non è pretenzioso. Ma soprattutto non è un libro che parla di donne come gli altri.

"Ma le donne no" è un libro, per parlare al positivo, che parla anche a me, che non ho fatto il '68 perché nata nel '73. E' un testo che si legge come un lungo articolo di Vanity Fair (quanti minuti? Forse un paio d'ore?) e che ti apre la prospettiva di un Paese come il nostro visto dal punto di vista delle pari opportunità tra uomo e donna. Un libro che ti fa comprendere l'impossibile parità, che ti fa anche arrabbiare, disgustare, ma che ti fa anche sorridere. Perché senza autoironia non "si tira avanti", in Italia, e infatti la stessa autrice, Caterina, che ci spiega che, anche se di fatto nell'immaginario tivù siamo ancora "gli angeli del fotocolare" e anche se il fattore "m" (maternità) ci fa perdere occasioni di lavoro, in realtà, una speranza c'è.

Dov'è la speranza? Ma ovviamente, cara donna, è da cercare "dentro di te". La Soffici si permette anche "cinque modeste proposte". Per esempio, le quote rosa. Per esempio, il part time. Per esempio, i padri a casa per sei mesi, a curare i pargoli…

Rivoluzionaria, la Soffici? Le altre sue proposte, come anche il libro, non ve le racconto. Dovete per forza prendere il libro, e passar parola. Non ci sarà tanto da soffrire a far capire il titolo, perché ormai "Ma le donne no" è in classifica, e dunque, bando alle ciance, deve arrivare ancora più sù!