Non ho smesso di fumare, prima d’ora, perché in realtà erano così tante le cose delle vita che non mi piacevano, che il fumo sembrava semplicemente un modo per mettere un po’ di nebbia tra la triste realtà e la mia persona. Il fumo confondeva, mistificava, allontanava, avvelenava ciò che era già malato. Da una parte io, con il mio essere sempre triste, arrabbiata, insoddisdatta e patetica perfino a me stessa, e dall’altro il mondo: quell’insieme di persone e di cose che ragionano soltanto trainate da soldi, puttane (o puttani) e poi ancora soldi, fondamentalmente, insieme a potere (far vedere a tutti che tu PUOI laddove gli altri no).
Non ho mai capito i soldi, a quindici anni chiedevo al mio primo fidanzatino perché volesse guadagnare tanto e sempre di più, ma anche se mi parlava di tante belle cose da fare coi soldi non mi ha mai convinta. A dire il vero non ho mai capito bene neppure il potere, finché nel 2000 non sono andata a Roma, alla Telecom, e ho conosciuto un bel po’ di gente che gravita intorno al mondo della politica e della parapolitica – direi Telecom Rai etc, che sono aziende in cui lo stipendio dei super-manager non dipende da leggi di mercato o dai fatturati procurati all’azienda, quando da quanto sono salde le amicizie -.
Mi ci era voluto il fumo per allontanarmi dalle logiche di potere, quelle del servilismo becero, quelle della fame di soldi e di celebrità, che nell’arco di una vita ti trasformano il figlio di un postino (con tutto il rispetto per i postini, sia chiaro) in un ricco proprietario di terreni e vigneti, con tanto di moglie con bollino doc del chirurgoplastico. Mi ci era voluto il fumo anche prima di averli visti. Ma dopo averli visti, mi ce n’è voluto di più.
Avrei potuto, a un certo punto, passare anche alla dipendenza di qualche altra ina, al posto che della nicotina che lo Stato ci perdona ma che in realtà fa più morti di eroina, alcool e cocaina messi insieme… Ho pensato che era meglio rimanere con la sigaretta: più socialmente accettata, meno paure di crepare per un attacco cardiaco, meno dispiacere per i genitori e le persone che ti vogliono bene, forse anche costi inferiori…
Non so come, forse tornata a Milano, ad un certo punto ho capito che mi ero allontanata a sufficienza dalle logiche che rovinano le persone. Dalle logiche del successo, della fama, dello yesmen (e woman) e soprattutto da quelle logiche che quando vedevo le persone fare certe cose mi sentivo proprio male non solo per loro, ma anche per me e per come il mondo stava andando.
Ognuno trova un suo modo per "mettersi" nel posto in cui sta meglio. C’è chi vuole fare tante scale, e chi vuole osservare, e chi vuole pensare. Io volevo osservare e pensare, ma non ho mai trovato un’angolazione abbastanza protetta. Forse, adesso, semplicemente mi sento di guardare dal punto di vista giusto, senza il pericolo di esser avvelenata da tutto il sistema mediatico-politico-economico. Per questo ho abbandonato la sigaretta per sempre. Ora si può continuare, senza avere troppa paura di essere avvelenati, e senza la paura di "cedere". Sono diventata grande: ce la potrò fare? Sono cresciuta abbastanza per non farmi avvelenare dalle cose brutte del mondo?
A dire il vero, la paura di vedere cose brutte (e di doverle subire senza poter dire niente né di denunciarle) ancora ce l’ho. Ma forse, adesso che non c’è più il fumo tra noi, comincerò anche io a parlare. Potrei cominciare davvero a farlo: potrebbe essere un altro buon modo per difendermi. Invece che chiudermi dentro una stanza piena di fumo, parlare apertamente delle cose che hai visto, e denunciarle al mondo…
Non male eh, come idea? Per ora è una settimana che non fumo. Vediamo se tra qualche giorno cambia l’approccio… L’importante è far finta di essere sani.