Il vento dell’odio

Leggo su Facebook che martedì esce il nuovo libro di Roberto Cotroneo: "Il Vento dell’odio".

Siccome ha pubblicato l’inizio sul suo sito internet, mi permetto di riportarlo qui, in attesa di leggere il seguito di questo talentuoso scrittore…

Era di martedì, qualche minuto prima delle nove di sera. Martedì 4 luglio. Piazza Mattei, a Roma, era deserta.

I pochi passanti correvano quasi tutti a casa per la partita dei campionati mondiali: la nazionale italiana contro la Germania. Stavo seduto in un ristorante, all’aperto, senza che i camerieri mi degnassero di uno sguardo. Erano tutti dentro a guardare un televisore sulle immagini del Westfalen Stadium di Dortmund. Davanti a me i tavoli erano vuoti. Mentre aspettavo sentii dei passi e la voce di un uomo che chiedeva se si potesse cenare. Il cameriere acconsentiva malvolentieri. La donna parlava a bassa voce e sembrava ridesse. Li fecero sedere a un tavolo a pochi metri da me. Guardai lui, e fui sicuro di riconoscerlo: era Cristiano Costantini, l’ex terrorista. Lei mi voltava le spalle ma anche se non potevo vederla in faccia ero sicuro che si trattasse di Giulia Moresco. Non potevo sbagliarmi, avevo visto decine di loro fotografie nel mio ultimo anno di lavoro. Avevo letto pagine e pagine, e lettere, e documenti di ogni genere.                                                

In quel silenzio irreale, con la voce del telecronista che veniva dal televisore del ristorante, avevo di fronte due fantasmi. Perché Giulia e Cristiano, per i giornali e per tutti quelli che li conoscevano e li cercavano, erano morti il 21 aprile marzo del 2005, in un incidente stradale sulla Roma-L’Aquila. La macchina era bruciata e si era risaliti all’identità di Giulia perché l’auto era stata noleggiata. Riguardo a Cristiano per la polizia non c’era dubbio che fosse lui, anche se i corpi erano irriconoscibili.

Il 15 marzo, quattro giorni dopo l’incidente, ricevetti la telefonata di una donna, che non conoscevo, e che era Stefania, la sorella di Cristiano. Mi disse che voleva incontrarmi prima di ripartire per il Sudafrica e mi diede un appuntamento in un bar di piazza Trilussa. Arrivò con una borsa piena di carte e me la consegnò, dicendomi di leggere tutto e soltanto dopo averlo fatto di telefonarle.                                                                                                

Nell’ultimo anno non mi sono occupato d’altro, ho interrotto il romanzo che stavo scrivendo e ho viaggiato per mezzo mondo: cercando di ricostruire i movimenti, di trovare conferme, di capire cosa fosse successo a Cristiano e a Giulia. Ma già dalla fine di giugno mi ero deciso a lasciar perdere. Non era una storia che si potesse raccontare. E non riuscivo a chiarire troppi aspetti oscuri delle loro vite. Finché il caso ha voluto che me li trovassi davanti.