194 ragioni per uscire dal silenzio. Questioni – purtroppo, e ancora – di donne

                                                                                    .OGGI.

                                            A Roma, ore 17.00 Ministero della Salute.

                                            A Milano, ore 17.30, Piazza San Babila.

Pubblico così come ricevuto da amiche e professori universitari.

194: PRESIDIO IN PIAZZA SAN BABILA ALLE 17,30

La vicenda di Napoli e’ inquallificabile da ogni punto di vista, e’ un atto vigliacco e intimidatorio:
-calpesta la dignita’ delle donne, di tutte le donne, in un momento particolare di grande solitudine e sofferenza.
-l’irruzione gratuita delle forze dell’ordine offende anche la professionalita’ dei medici che avevano unicamente applicato la legge.
-la stessa modalita’ adottata sulla base di una pura denuncia anonima, esprime violenza, ottusita’, prevaricazione.

Nell’esprimere solidarieta’ alla donna di Napoli che ha subito questa grave prevaricazione, denunciamo con forza questi atti. Viglileremo, soprattutto in Lombardia, affinche’ la 194 sia applicata alla luce del dettato costituzionale, impiegando tutti gli strumenti possibili, anche legali, perche’ sia garantita l’autodeterminazione delle donne.

Invitiamo donne e uomini a manifestare la propria indignazione.
GIOVEDI’ 14 FEBBRAIO, alle ore 17,30 con un PRESIDIO IN PIAZZA SAN BABILA.

Ecco la lettera ricevuta dalla rete regionale 194 RAGIONI


L’ultima parola è la nostra.
Dall’evidenza scientifica all’etica della responsabilità.


Contrastiamo l’abitudine a pensare che sui temi essenziali che
riguardano la nostra vita, le nostre esperienze che si fanno corpo e
anima, noi donne e uomini comuni fatichiamo a prendere una decisione
consapevole.

Osserviamo che in una società di esperti hanno autorevolezza lo
scienziato, il filosofo, il teologo, il giurista e recentemente il
bioeticista, tutti “rigorosamente” di sesso maschile, mentre noi donne
non abbiamo parola pubblica. Ma oggettività scientifica e soggettività
non sono mondi separati e le tecnologie che riguardano la vita e la
morte sono oggi tali da modificare la percezione, il senso e quindi la
lettura che noi diamo di esse. Dal concepimento al morire, le
opportunità (e i rischi!) offerti dalle biotecnologie mediche ci
obbligano singolarmente e collettivamente a operare scelte e mettere in
atto decisioni spesso difficili. Ad esse la scienza contribuisce in
termini di conoscenza e ampliamento delle possibilità. Ma l’ultima
parola spetta  alla donna all’uomo che di quelle scelte vivranno le
conseguenze.
Noi contrastiamo la violenza di un’etica dei principi indiscutibili e
astratti con l’etica della responsabilità e denunciamo che il vuoto
lasciato dall’assenza di una cultura laica delle istituzioni è riempito
dalla Chiesa e dai codici deontologici delle associazioni e/o
corporazioni degli esperti, scientifici e non, che dettano la propria
legge.

Le questioni eticamente sensibili diventano così strumenti che mirano a
fare dei corpi di uomini e donne le nuove "res publicae", su cui e
attraverso cui arrivare alle "nuove sintesi" politiche  che spesso
avvelenano la civile convivenza e il quadro democratico.

Questo sta accadendo:ieri sulla legge 40, oggi sulla 194, la moratoria,
la lista di Ferrara e l’incursione all’ospedale di Napoli!

Riproponiamo l’autonomia e la libertà di una donna di scegliere per se
stessa anche quando è “uno e due contemporaneamente”, cioè quando è
gravida, affermando che è portatrice di una responsabilità che ne fa un
soggetto morale capace di compiere la scelta di essere o non essere
madre e di interrogarsi sul senso e la qualità di quella vita che ha
deciso di mettere al mondo.

La Chiesa Cattolica ha riconosciuto un’anima alle donne nel 1431! Quanti secoli ancora per essere riconosciute soggetti morali?

Denunciamo la voluta confusione che ha animato il recente dibattito
sull’obbligo di rianimazione dei feti vitali anche in presenza di una
decisione contraria della madre. Si sono confuse questioni diverse:
aborto terapeutico e nascita prematura.

Aborto terapeutico e nascita prematura stanno su piani diversi, hanno
ricadute ed effetti differenti, le cui responsabilità non sono del
tutto chiare dal punto di vista della legge.

Nel primo caso il riferimento è la legge 194 dove in nome del diritto
alla salute della madre, ed in presenza di una grave malformazione del
feto, la legge consente alla donna di porre fine a quella vita.

Nel secondo caso siamo in presenza di un trattamento terapeutico su un
“minore” già nato che non è in grado di esercitare quel "consenso
informato" di cui il medico ha bisogno per agire sul corpo del paziente
e che è l’espressione della autonomia di scelta di ogni cittadino/a
sancita dalla Costituzione.

Tale questione non riguarda la 194 ma il diritto di limitare  i trattamenti di rianimazione e di sostegno vitale

Un feto di 4- 5 mesi, può esercitare questo diritto? La risposta è
evidente: no! Allora chi lo fa per esso? Chi è il soggetto morale che
lo può fare? Una legge astratta dello Stato in nome di un’etica dei
principi, un codice deontologico medico che si fa legge o la donna  che
l’ha nel suo corpo (quel feto è parte di essa) e la cui etica della
responsabilità le consente di coniugare i fatti, che inaspettatamente
le vengono presentati, con i valori che fino a quel momento l’hanno
conformata?