Ieri sera guardavo Tv7 di Gianni Riotta, e sul finale l’intervista a Fabio Fazio. Il tema più interessante, se vogliamo, è stato il racconto del Premio "E’ Giornalismo" di cui l’autore/presentatore televisivo è stato insignito. E il parallelo tra trasmissioni come quella di Fazio e le tipiche interviste giornalistiche. Che differenza c’è?
Al di là delle tessere (giornalista pubblicista Fazio, e professionista – ovviamente – Riotta), per gli spettatori appassionati di interviste, forse nessuna. Fazio confessa "ho sempre sognato di fare il giornalista, sin da piccolo". E Riotta, membro della giuria del premio "E’ Giornalismo", gli riconosce la capacità del domandare, e dell’interloquire, tipica del mestiere. Nonché, attraverso le immagini di Enzo Biagi a "Che Tempo che fa", una forte eredità condivisa.
La seconda parte dell’intervista a Fazio è dedicata a internet, alla (non) autorevolezza di Wikipedia, ai blog e a Beppe Grillo, che sempre prende di mira i giornalisti, i telegiornali, e il direttore del TG1.
Mi sono ricordata che lo scorso anno, nel mese di marzo, avevo chiesto al filosofo Giulio Giorello, cosa pensasse della tivù. Pubblico qui si seguito quella che potrebbe sembrare una risposta a Tv7. Per la verità, somiglia molto a quanto ha detto Fazio, sul finire della trasmissione di Riotta. In sintesi: "basta con la cronaca nera".
“I reality più macabri in realtà sono i telegiornali”. Secondo il filosofo Giulio Giorello: "si filmano scontri armati, guerre, stermini, e si mandano in onda con un meccanismo di ripetizione che ormai ci ha fatto abituare a tutto. Perché la ripetizione banalizza, e la cronaca vera rompe la realtà. Ma anche in quei casi, il giornalismo vuole sondare troppo degli animi umani. Vorrei conoscere personalmente chi si presenta con domande incalzanti tipo “perché l’hai fatto?” ad un figlio che ha sparato alla madre. E soprattutto vorrei vedere, per una sola volta, la sana reazione di un intervistato che si ribella, che tira addosso al giornalista quello che gli capita pur di non rispondere a queste insulse questioni”.
In generale, quindi, per il filosofo “Di nessuna Chiesa” (il titolo di uno dei suoi numerosi libri pubblicato da Raffaello Cortina) il quinto potere sta indugiando troppo nelle pieghe del cuore umano: “non ho nessuna intenzione di demonizzare la televisione – spiega Giorello – ma cerco di tenermene ben alla larga… Perché la sfera del privato è fondamentale per la costruzione dell’individuo, e il media, invece, cerca di varcarla, distruggendone così l’autonomia. Perché scegliere di stare in prigione, anche se è una scelta, prigione comunque è… E poi, in ogni caso, non mi interessa sapere cosa fa e cosa pensa il mio barista sottocasa. Ho un ottimo rapporto con lui, sia chiaro, ma certo se avessi qualche curiosità o morbosità sulla sua vita gliele chiederei direttamente”.
E riprende, sui reality: “La questione dei single che cercano un partner, le stucchevoli storie degli amori perduti e ritrovati, e della famiglia come prima fonte di tanti programmi televisivi mi sembra un’ulteriore deriva. Altro che crisi della famiglia e family day! Il conformismo televisivo nell’appoggiarsi a questo vecchio format mi sembra inutile. I media dovrebbero fare un altro tipo di servizio”.
Aggiunge con sarcasmo: “Quant’è bella la famiglia Meno male che io sono un senza famiglia. Come quel libro che mi leggeva mia madre da piccolo e mi faceva tanto piangere.… Evidentemente mi è piaciuto, perché senza famiglia mi sembra di respirare meglio. Altro che quel ritornello del film di Altman, Nashville, in cui si cantava nell’interesse dei figli! Nell’interese dei figli! Al momento sembra non ci si possa occupare d’altro, anche in tv”.
Forse, semplicemente, anche la televisione è giovane. “Si deve fare ancora adulta – ipotizza Giorello – e deve decidere cosa fare da grande. Sfruttando tutte le possibilità e le grandi professionalità che ha già al suo interno. La nostra tivù potrebbe essere capace di raccontare bene anche situazioni più complesse. E invece il reality più reality che ci tocca è la nostra iperpresente religione: ens realissimum è la divinità. E più reale di così, di muore…”.
Certo. Ma all’estero abbiamo dei riferimenti che possano indicarci strade alternative? “Beh, in realtà basta accendere la televisione in Spagna, in Portogallo o in Gran Bretagna per ritrovarsi di fronte alle stesse trasmissioni italiane. Ormai anche la televisione del mondo Occidentale è globalizzata e i format, che sono un’architettura prefabbricata, e sono gli stessi a Barcellona, Lisbona, Londra e Roma. In parte, non mi dispiace questo ritorno ad un linguaggio universale. Andrebbe anche studiato con attenzione. Il problema semmai sono i contenuti. Perché i contenuti sono miserabili”.