Scusatemi l’ironia e l’autoreferenzialità del post….
…ma ogni giorno leggo presentimenti numerati dal mitico futurologo blogger Francesco Morace, e dunque mi chiedevo. Ma domani che Nova100 ufficialmente prende il via, quale sarà la PreMonizione del nostro – mi perdoni – guru Francesco Morace?
Evviva La Leggerezza delle Lezioni Americane
Dedicherò la prima conferenza
all’opposizione leggerezza-peso, e sosterrò le ragioni della
leggerezza.
Questo non vuol dire che io consideri le ragioni del peso
meno valide, ma solo che sulla leggerezza penso d’aver più cose da
dire. Dopo quarant’anni che scrivo fiction, dopo aver esplorato varie
strade e compiuto esperimenti diversi, è venuta l’ora che io cerchi una
definizione complessiva per il mio lavoro; proporrei questa: la mia
operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho
cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti,
ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura
del racconto e al linguaggio.
In questa conferenza cercherò di spiegare
– a me stesso e a voi – perché sono stato portato a considerare la
leggerezza un valore anziché un difetto; quali sono gli esempi tra le
opere del passato in cui riconosco il mio ideale di leggerezza; conte
situo questo valore nel presente e come lo proietto nel futuro. […]
Oggi ogni ramo della scienza sembra ci voglia dimostrare che il mondo
si regge su entità sottilissime: come i messaggi del DNA, gli impulsi
dei neuroni, i quarks, i neutrini vaganti nello spazio dall’inizio dei
tempi… Poi, l’informatica. E’ vero che il software non potrebbe
esercitare i poteri della sua leggerezza se non mediante la pesantezza
del hardware; ma è il software che comanda, che agisce sul mondo
esterno e sulle macchine, le quali esistono solo in funzione del
software, si evolvono in modo d’elaborare programmi sempre più
complessi.
La seconda rivoluzione industriale non si presenta come la
prima con immagini schiaccianti quali presse di laminatoi o colate
d’acciaio, ma come i bits d’un flusso d’informazione che corre sui
circuiti sotto forma d’impulsi elettronici. Le macchine di ferro ci
sono sempre, ma obbediscono ai bits senza peso. E’ legittimo
estrapolare dal discorso delle scienze un’immagine del mondo che
corrisponda ai miei desideri? Se l’operazione che sto tentando mi
attrae, è perché sento che essa potrebbe riannodarsi a un filo molto
antico nella storia della poesia. Il De rerum natura di Lucrezio è la
prima grande opera di poesia in cui la conoscenza del mondo diventa
dissoluzione della compattezza del mondo, percezione di ciò che è
infinitamente minuto e mobile e leggero. Lucrezio vuole scrivere il
poema della materia ma ci avverte subito che la vera realtà di questa
materia è fatta di corpuscoli invisibili.
E’ il poeta della concretezza
fisica, vista nella sua sostanza permanente e immutabile, ma per prima
cosa ci dice che il vuoto è altrettanto concreto che i corpi solidi. La
più grande preoccupazione di Lucrezio sembra quella di evitare che il
peso della materia ci schiacci. Al momento di stabilire le rigorose
leggi meccaniche che determinano ogni evento, egli sente il bisogno di
permettere agli atomi delle deviazioni imprevedibili dalla linea retta,
tali da garantire la libertà tanto alla materia quanto agli esseri
umani.
La poesia dell’invisibile, la poesia delle infinite potenzialità
imprevedibili, cosi come la poesia del nulla nascono da un poeta che
non ha dubbi sulla fisicità del mondo. Questa polverizzazione della
realtà s’estende anche agli aspetti visibili, ed è là che eccelle la
qualità poetica di Lucrezio: i granelli di polvere che turbinano in un
raggio di sole in una stanza buia (II, 114-124); le minute conchiglie
tutte simili e tutte diverse che l’onda mollemente spinge sulla bibula
barena, sulla sabbia che s’imbeve (II, 374-376); le ragnatele che ci
avvolgono senza che noi ce ne accorgiamo mentre camminiamo (III,
381-390). […]
La gravità senza peso di cui ho parlato a proposito di
Cavalcanti riaffiora nell’epoca di Cervantes e di Shakespeare: è quella
speciale connessione tra melanconia e umorismo, che e stata studiata in
Saturn and Melancholy da Klibansky, Panofsky, Saxl. Come la melanconia
è la tristezza diventata leggera, cosi lo humour è il comico che ha
perso la pesantezza corporea (quella dimensione della carnalità umana
che pur fa grandi Boccaccio e Rabelais) e mette in dubbio l’io e il
mondo e tutta la rete di relazioni che li costituiscono.
Melanconia e
humour mescolati e inseparabili caratterizzano l’accento del Principe
di Danimarca che abbiamo imparato a riconoscere in tutti o quasi i
drammi shakespeariani sulle labbra dei tanti avatars del personaggio
Amleto. Uno di essi, Jaques in As You Like It, cosi definisce la
melanconia (atto IV, scena I):
… but it is a melancholy of my own,
compounded of many simples, extracted from
many objects, and indeed the sundry
contemplation of my travels, which, by
often rumination, wraps me in a most
humorous sadness.
… è la mia peculiare malinconia
composta da elementi diversi, quintessenza
di varie sostanze, e più precisamente di
tante differenti esperienze di viaggi
durante i quali quel perpetuo ruminare mi
ha sprofondato in una capricciosissima
tristezza.
Non è una melanconia compatta e opaca, dunque, ma un
velo di particelle minutissime d’umori e sensazioni, un pulviscolo
d’atomi come tutto ciò che costituisce l’ultima sostanza della
molteplicità delle cose.
(Italo Calvino, Lezioni americane)