Leggo su Repubblica un articolo di taglio basso a pagina 10. Che non passa inosservato.
Il premier Romano Prodi chiede di eliminare i Segreti di Stato relativi al caso Moro. Nonostante, poi, sempre dall’articolo, si capisca che, in una serie di indagini, siano emerse periodiche distruzioni di materiale riservato. Di cui si ignora l’entità, ma che probabilmente – sempre secondo Massimo Brutti, vicepresidente di Copaco – sono andate avanti fino agli anni Novanta, quando infine sono state bloccate dai Governi Ciampi e Dini.
Brutti chiude così, in modo inquietante: "potremmo avere un quadro del modo in cui i nostri servizi segreti operavano in quegli anni, che erano anche gli anni dell’infiltrazione nella nostra intelligence della loggia P2".
Ringraziando per il chiarimento, e per l’agghiacciante – seppur vera – dichiarazione, mi chiedo ora perché fare chiarezza solo sul ’78. Forse è solo un inizio di trasparenza? Speriamo di sì.
Qualche mese fa, in occasione della pubblicazione del libro di Mario Calabresi, stavo cercando notizie sui documenti del Ministero dell’Interno relativi al 1972 – anno della morte del padre – e trovai le porte sbarrate. Pubblico qui di seguito, però, uno stralcio della piccola indagine su come funzionano gli Archivi di Stato, e come e perché certi documenti non siano ancora accessibili.
Così. Per chi non sapesse perché non sappiamo.
Stesi per terra, i documenti che compongono l’Archivio Segreto del Vaticano colmerebbero la distanza tra Bolzano e Trapani. E ritorno. La sola scaffalatura della biblioteca misura 85 chilometri, e non è che una piccola parte del patrimonio documentario dello Stato Pontificio. Ai quali si aggiungono i 700.000 documenti dell’Archivio Centrale dello Stato. Da soli, calpestano altri 15.000 chilometri. “Non comprendono però le informazioni relative ad Esercito, Camera e Senato, Quirinale, Stato Maggiore e Ministero degli Esteri – precisa Maria Pina di Simone, direttrice della Sala Studio dell’Archivio Centrale – E neppure gli archivi di Stato dei singoli capoluoghi di Provincia, né tantomeno quelli delle Questure della Polizia di Stato”.
Quanto misura, dunque, la nostra storia? Un’enormità, in termini di volumi consultabili. Ma poi, ci sono i documenti ancora inaccessibili al pubblico. Quelli non sappiamo quanto misurano, ma sicuramente saranno un altro bel mare di interessanti scartoffie. Perché anche se non possiamo sapere tutto ciò che non sappiamo, abbiamo qualche certezza sui pezzi che mancano all’appello.
Il Ministero dell’Interno, per esempio, non ha ancora reso consultabile parecchia documentazione successiva al periodo fascista, perché considerata ancora utile. E il Gabinetto di Stato ha rilasciato carte fino al 1985, escludendo però i fascicoli critici relativi agli anni Settanta, e alle Brigate Rosse. “Sono in corso di versamento i documenti relativi ad alcuni gruppi studenteschi”, racconta Maria Pina di Simone, e chissà quante cose si potrebbero scoprire, o non scoprire, consultando il repertorio del nostro passato.
Per ragioni di privacy, documenti privati come lettere, registrazioni e carteggi personali vengono resi pubblici dopo 70 anni. Di norma, invece, devono passarne 50 perché i cittadini possano accedere alle carte amministrative. Purché non coperte da Segreto di Stato.