In questo 16 agosto vacanziero e pensieroso, trovo una quantità di commenti al blog che non è possibile ignorare. Come al solito, proverò a fare un ragionamento controcorrente, giusto per darvi uno spunto di riflessione sull’informazione e sul giornalismo, oggi. E non fare falsi populismi.
Sto leggendo il libro di David Remnick, direttore del New Yorker. Il Libro titola Reporting. Sono i suoi incontri – a volte durati anche settimane – con i grandi del pianeta. Da Al Gore a Tony Blair fino a Vladimir Putin, o con grandi scrittori come Amos Oz o Don De Lillo.
Se pensate che si tratti delle classiche interviste "sedute" in stile italiano, vi sbagliate di grosso. Se pensate che Remnick scriva tutto quello che ha visto, sbagliate un’altra volta. Il direttore del New Yorker si limita a fare "reporting", appunto. Che non è un mestiere di seconda levatura, rispetto alla critica (mi rivolgo ai commenti che ho letto sul teatro di Armando Punzo) ma anzi, ritengo ancora più importante. Perché una corretta informazione non passa per simpatie o antipatie, né per gusti personali o amicizie. Né tantomeno per il tifo per l’una o per l’altra fazione (sì adesso direte che non sta né in cielo né in terra tutto ciò, ma se leggete i giornali all’estero potreste accorgervi che non tutto il mondo è paese…).
Ora, posto che il reporting, cioè riportare, segnalare, raccontare, spiegare non è fare critica (anzi, secondo me la critica è più vicina alla letteratura, che al giornalismo) passiamo al passo successivo. E cioè "cosa" raccontare. Perché scegliere i grandi personaggi della Terra e non l’ultimo homeless di New York? E’ una scelta. In parte dettata dalla storia del giornalista, in parte dalla linea editoriale del giornale, e in parte dal pubblico che lo segue. Evidentemente, per Remnick, era più interessante parlare di Putin, che della Mafia Russa.
Putin è anche più semplice, direte voi. Io non sono così certa che sia più semplice scrivere di Putin (con tutte le conseguenze che comporta pubblicare paginate di articolo non certo entusiastiche) che fare una lunga inchiesta sulla Mafia Russa. E poi, siamo proprio sicuri che sul mitico New Yorker i lettori abbiano voglia di leggere della Mafia Russa, e invece non preferiscano cimentarsi con un controverso leader di Stato?
Per scrivere un articolo, è necessario tener conto dei lettori. Per quanto riguarda la mia attività, sono loro che guidano e, anche se non li conosco ad uno ad uno, so che tante volte mi spingo anche più in là, rispetto alle tematiche che a loro premono. Ma io faccio cultura e creatività, certo, e allora mi è permesso "spaziare"…
Gli altri giornali, invece? E gli altri giornalisti? In particolare, sulla questione di Radio Capital, perché nessuno ha parlato di quello che sta succedendo? Si è dimesso un direttore, sono stati chiusi dei programmi… non fiata nessuno? E’ questa la domanda degli amici di Sergio Mancinelli, mi sembra.
Beh, mi spiace deludervi, ma credo che la vera risposta sia che i giornali parlano molto di televisione, ma poco-niente di radio. I lettori, forse, non sono molto interessati. E forse neanche i direttori… Se così non fosse, ce ne sarebbe stato da parlare, e non solo di Radio Capital: quest’estate abbiamo fatto il pienone con le dimissioni e gli assestamenti un pò ovunque. Ce n’è stato per tutti. E io, che leggo quattro quotidiani al giorno, non ho visto nulla.
Possiamo parlare del perché ai giornalisti della carta stampata e ai direttori non interessino gli andirivieni delle poltrone e dei programmi in radio. Sinceramente, non lo so. Ma credo che accanirsi con loro, per questo motivo, non sia corretto. Credo che invece valga la pena di muoversi e indignarsi per tanti altri motivi. Ma questa è solo un’opinione di una giornalista qualunque.