Pubblico questa notizia perché purtroppo i giornali non l’hanno ripresa, e invece merita una bella riflessione (magari ci si compra il libro?)
Jean Louis Comolli è un grande regista, ed è stato, tra l’altro, redattore capo dei mitici Cahier du Cinema
COMOLLI, ‘VEDERE E POTERE’ PER CAPIRE ANCHE IL ‘CAIMANO’
JEAN-LOUIS COMOLLI, VEDERE E POTERE (DONZELLI EDITORE, 306 PP., 24 EURO)
E’ una fortuna che, in mezzo a un dibattito fatto soprattutto di tante chiacchiere di commentatori non di rado un po’ improvvisati, la casualità delle uscite editoriali faccia capitare un libro denso e intelligente di un intellettuale non (solo) specialista che parlando di cinema parla anche di altro (tv e società, per esempio) e che nell’ introduzione spiega il senso delle sue indagini in un modo che potrebbe essere molto utile ai commentatori sparsi del ‘Caimano’ di Nanni Moretti.
“In tempi di videoclip, videogiochi, spot, reality show, cosa dobbiamo fare del cinema?”, si chiede Comolli ed è un po’ come chiedersi – cosa che fa Moretti nel suo Caimano – perché gli Stati UNiti fanno film sui loro presidenti e noi non riusciamo a fare un film su Silvio Berlusconi? “Nell’ora delle
simulazioni, dei programmi, dei sondaggi, delle previsioni e precauzioni, a quale altro presente ci può aprire il cinema documentario? Davanti ai mille milioni di schermi televisivi accesi giorno e notte in tutto il mondo, come parlare, dire, sentire, come vedere, anche ciò che ci accade, come rappresentarlo senza aggiungere la vanità di un rumore al rumore della vanità?”.
Non potrebbe esserci inizio più folgorante (scritto appositamente da Comolli per l’ edizione italiana), per introdurre questa raccolta di scritti elaborati dal 1988 ad oggi da Comolli, nato in Algeria, già caporedattore dei celebri Cahiers du cinema, autore di film di finzione e poi di documentari, appassionato e studioso di jazz. La sua feconda trasversalità, come si usa dire oggi, è splendidamente testimoniata dai vertiginosi passaggi da Dziga Vertov al Grande fratello, da Kiarostami alla tv realtà e a quella ‘spazzatura’ fino al capitoo più utile per Moretti (e per i suoi spettatori: e alla figura dello spettatore, alla sua ‘messa in scena’ da parte del cinema, è dedicato un ulteriore capitolo): quello intitolato ‘Filmare il nemico?’
Dove, prendendo spunto da film su nazisti e dittatori vari, Comolli, non solo ribadisce che al cinema l’importante è soprattutto il ‘come’ (“Come filmare il proprio nemico dunque? La questione del ‘come’, vera questione del cineasta”), ma spiega, per motivare la sua predilezione per il documentario:
“il nemico è più facile da affrontare, o da attaccare, in una fiction piuttosto che in un documentario” anche perché in un documentario “i corpi non si lasciano dirigere” dal regista. E, conclude, “le idee del nemico vincono in corporeità. E’ lì che fa male”. Finale simile a quello del Caimano, film rimasto incerto tra fiction e documentario. (ANSA).