La Zona

Tre anni fa La Provincia Pavese mi chiese di scrivere un racconto d'estate, centrato su Pavia. In questo rientro estivo mi piace riproporlo online. Anche per tenere traccia di pensieri e momenti passati. Ovvero Pavia, la mia Università, gli amori mai confessati. Ecco dunque…

La Zona

Avrebbe potuto osservare per ore il lungo collo affusolato, le ampie spalle lavorate dal nuoto, i capelli che inanellavano boccoli biondi e lo facevan somigliare a un angelo. Ma mai negli occhi riusciva a fissarlo. Si chiedeva il perché non potessero guardarsi bene, quando si parlavano, e invece era prima l’uno, e poi l’altra, a distoglier gli occhi dalle pupille, a volgere gli occhi prima un po’ più a destra, poi a sinistra, a fissar che zona non si sa: un palo della luce, forse il tavolo vicino del bar, forse il nulla, il vuoto era anche lui una scusa buona per non guardarsi negli occhi più di cinque secondi di seguito.

S’incontravano tre volte l’anno, quando lei tornava per le feste comandate. Lo avvisava col solito sms: “Ciao. Salgo a Pavia, ci sei?” e lui, ogni volta, tentato di non risponderle affatto perché fatica, richiedeva lei.

Troppo intensi i loro incontri, di troppe cose importanti si parlava e poi come si permetteva lei, sempre, di giudicare? Che come con un confessore, uno psicanalista, come una sorella era impossibile nasconderle il punto in cui era, e impossibile defilarsi rispetto a quanto era stato fatto, e quanto ancora mancava. Un po’ più avanti di dove l’aveva lasciato qualche mese prima, e alle volte, dolorosamente allo stesso punto, se non più indietro.

Fatica vivere sapendo che c’è qualcuno che ti misurerà, ogni volta.

“Hai scritto? E quanto hai scritto? E la storia perché dovrebbe funzionare, poi, una volta su pellicola? E il tuo produttore che dice? No, guarda, questo finale de La zona non mi convince. E poi una zona che cos’è esattamente? E’ un luogo fisico, un posto dell’anima… cosa?”.

Lei non era psicanalista, amica, confessore, ma meno male che c’era, tra i pochi, a dire la verità.

“Maschi e femmine posson davvero essere amici?” le aveva chiesto una volta davanti a latte e menta. “Certo, come puoi dubitarne? Siamo nel 21esimo secolo”.

Mentiva, spudorata, sapendo di mentire. Lui un poco se ne accorgeva e un poco no. Provava a stargli vicino come un ragazzo di trent’anni può. Meglio di un quarantenne, di un cinquantenne. Peggio di un ventenne perché in cuor suo non riusciva a non curarsi di cosa fosse, in realtà, quella cosa di vedersi, di incontrarsi, e poi di sparire, per mesi, senza lasciar traccia nelle reciproche vite.

Arrivò come al solito il venerdì sera, lo chiamò subito e per l’estate gli chiese un regalo.

“Anche se non l’hai finita di scrivere, adesso la devo proprio vedere, La zona. Se non riesci a mostrarmela non ci potrò più credere, nel tuo film, è troppo tempo che ci stai lavorando. E poi nelle pellicole le cose si guardano, accadono, sono immagini, mica parole”.

Lui passò appena dopocena motorino. Lei, da dietro osservava il suo collo abbronzato: la parte inferiore, appena sopra la maglietta, era quasi dorata. Non ebbe il coraggio di abbracciarlo da dietro e mise le mani intorno al sellino. Col volto, però, mentre lui ruotava col polso l’acceleratore e raggiungeva gli ottanta all’ora si avvicinò alla sua pelle e respirò forte, a tirar sù il suo odore colle narici.

San Martino, Madonna, Case Nuove. Poco dopo Tre Re si scoprì quasi perplessa dal panorama piatto. Non lo ricordava così: e le risaie? E le zanzare? Tutti luoghi comuni?

Il motorino imboccò uno sterrato buio a sinistra dell’asfalto. Era forse quella la zona? La polvere sui vestiti non durò molto. Giusto il tempo d’inzaccherare le scarpe con tacco, e un poco i piedi.

Il motorino si fermò: era buio, c’era silenzio, l’atmosfera non fossero stati in due faceva quasi paura. Con l’accendino lui attizzò candela e incenso ed estrasse due Corona dal bauletto. Non un rumore se non lo stappo delle birre, sempre con l’accendino, e poi silenzio, e ancora, un trillo di un sms dal cellulare di lei, poi ancora silenzio, lei non ci prestò attenzione.

“Ho finito di scrivere, il produttore sta aspettando i finanziamenti del Fondo Unico dello Spettacolo, che chissà mai se arriveranno. Però la sceneggiatura è questa, e questo è il fiume, lo senti? Il punto in cui sabbia e il Po’ si toccano e si separano. Un luogo di provincia che in pochi vengono a guardare, come quelle relazioni che lasciano intorno un’area di dubbio sabbiosa e bianca:  quella è La zona che volevo descrivere”.

Le porse il plico di fogli in cui la prima riga non lasciava adito a compromessi: “Stai entrando”.

“Dunque questa è l’ultima volta che ci vedremo?”.

Lui fece silenzio. Poi, guardandole i piedi: “Dopo che avrai letto, se credi, sarà così”.

Lei riprese: “Ti ho chiesto di vedere La Zona forse anche per questo. Si può amare una persona e rimanere nel dubbio, per anni, senza sapere, ma poi occorre chiarezza. E’ giusto, i capitoli si aprono ma si devono anche chiudere, come le sceneggiature, i film, i racconti”.

“Sì. Se la vuoi vedere, la zona è questa. E’ il punto d’incontro ma anche il luogo di separazione tra due mondi che si osservano, si sfiorano, ma che mai potranno mischiarsi. E’ il posto della relazione dove, come accade in natura, non puoi scansare la forza di ciò che stai guardando. Se dunque tu vedi la fine, allora non ci vedremo più. In caso contrario, continua, ti prego, a leggere”.