Con un piede impigliato nella storia

Ecco la recensione del libro di Anna Negri uscita lo scorso febbraio su carta. Ora le presentazioni del libro sono state fatte, sia a Roma, sia a Milano sia a Firenze, ma per chi ancora non l'ha letto, un "consiglio per gli acquisti".

Rimpiangere un futuro alla "American Graffiti", avere dodici anni e singhiozzare ascoltando la canzone "quindici anni, poe-sia di un'età che non ritorna", raccogliere e numerare gli slogan politici come fossero figurine e guardare un profugo cileno con la paura di diventare come lui: matta, e troppo sensibile al dolore.
A nulla sono servite ad Anna Negri le 12 stanze con palquet scricchiolante e gli alti soffitti a metà tra Cadorna e Via Vincenzo Monti, in centro Milano: le camere vuote di famiglia in un interno sono alle volte la malattia più straziante. A rendere ancor più difficili le cose, la presenza di un padre che "ma cosa vuoi sapere tu di come ci sentiamo? Per me lui era un turista dei sentimenti, a cui era capitato quasi per caso di dover condividere con noi delle case, incidentalmente anche dei rapporti di parentela, ma che stava attento a non farsi coinvolgere troppo perché aveva cose più importanti a cui pensare".
La figlia, Anna, ha scritto "Con un piede impigliato nella storia" (Feltrinelli Editori, in uscita il prossimo 12 marzo). Il padre sotto accusa è Toni Negri, ex leader di Autonomia Operaia ed espatriato in Francia nel 1983. Quello che per chi lo descrive non è il filosofo né il professore, ma come l'uomo che "quell'Inno di Venere (declamato in Parlamento prima della votazione per l'espatrio, ndr) che forse anche mio padre non aveva saputo ascoltare, non quello filosofico, ma quello dei suoi figli, che non aveva protetto".
Ebbene il libro racconta questo: nascere e crescere con un padre presente ma assente e infine assente (in prigione) ma fin troppo presente. Alla difficoltà di essere figli di personaggio importante, nella storia di Anna, si somma la tragedia dell'aura negativa del genitore. E tuttavia, al contrario di altri libri-diario di figli colpiti dal terrorismo o da una storia tragica, non c'è il dilungarsi all'interno delle vicende storiche, non c'è la ricerca della verità o di chi racconta menzogna. C'è semplicemente da testimoniare un'esistenza che accadeva, nonostante tutto, proprio durante lo svolgimento di quella che noi tutti chiamiamo "storia" con la S maiuscola.
Nonostante tutto ha vissuto Anna, insieme al fratello di poco più giovane: a Padova, poi a Milano, alle scuole medie, e poi al Liceo Manzoni, e poi all'istituto Itsos, quello che frequentavano gli artisti come lei, e che infatti qualche anno dopo ha sfornato il gruppo musicale Casino Royale.
La storia di un uomo che vuole fare la Storia, o di chi ne è già protagonista assoluto, è più importante della storia dei famigliari e delle persone che lo circondano? Nel caso di Toni Negri, sembra che all'interno della famiglia, esistesse solo lui. Nonostante fosse inserito in un nucleo famigliare che necessitava di andare avanti, e vivere, formarsi e rifondersi, crescere e permettere di sviluppare a ciascuno la propria identità, il pater familias, con il suo egoismo o comunque con la sua personalità ingombrante, sembra non aver dato a tutti le chance che a lui sono state concesse dalle persone amate.
Perché? Questo non lo sapremo dal libro di Anna. Quello che invece scopriremo è l'infanzia e l'adolescenza di una giovane e intelligente ragazza, che spiega in termini personalissimi la difficoltà di crescere e diventare se stessa, anche con un papà così.
Gli sguardi dei compagni al Liceo, i ragazzi che non ricambiano il suo amore, le difficoltà con il corpo che diventa sempre più grande – anche in seguito a una violenza subita e mai denunciata – fino a costruire barriera impenetrabile tra sé e gli altri. Uno stare male giorno per giorno che è straziante, un vivere attraverso le sigarette le ore piccole, i caffè o la marijuana (o altre droghe molto in voga in quegli anni, oggi molto molto demonizzate), un'alimentazione altalenante e vorace, una voglia di solitudine e al tempo stesso un'incapacità di reale interazione con l'altro.
Un poco, tutto questo, potremmo chiamarlo adolescenza. Un poco però ci si rende conto che non è normale. Alla tristezza dei viaggi verso la prigione del padre, che spesso cambia destinazione e luoghi, e dei dialoghi impossibili con l'uomo che anche durante l'orale di maturità diventerà tema d'esame, si assomma un'altra tragedia, che è quella vissuta prima del liceo. La tristezza delle scuole medie in cui papà c'era ma non c'era, in cui tanti amici passavano per casa ma dove quando suonava il telefono non bisognava rispondere mai.
Carabinieri e poliziotti che entrano in casa, non sono la normalità. Neppure due ragazzini che fanno le classi superiori vivendo da soli, quasi dei contemporanei ribelli, non sono la normalità. Tutto ci si aspettava, dal libro di Anna Negri, se non l'eccezionalità di una vita. Quello che purtroppo è tristemente vero e descritto con apertura, trasparenza, sincerità è il segno che lasciano in una donna adulta i primi vent'anni senza famiglia. Quelli successivi, Anna è andata all'estero, lo sapeva che non ci sarebbe stato nessuno, a proteggerla. Ma tutt'oggi, nel testo, si sente il rimpianto a un'infanzia (nb. non un'infanzia felice, ma un'infanzia). Forse per questo ha dedicato il libro a suo figlio. Sicura che lui l'avrà.

  • lucaperetti |

    molto bella e sentita la tua recensione, e il libro e’ bellissimo, le ultime tre pagine sono sconvolgenti, avevo i brividi leggendole.
    luca

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